6:05 am, 10 Settembre 14 calendario

Ebola caso sopetto nelle Marche

Di: Redazione Metronews
condividi

roma – «Anche se dovesse trattarsi di ebola, è altamente improbabile che il virus si diffonda in Italia, grazie alle condizioni igienico sanitarie». Stefano Vella, direttore del dipartimento farmaco all’Iss, commenta così la notizia  di un caso sospetto di ebola in Italia. La signora EL di 42 anni, di origini nigeriane, ma residente nelle Marche da molti anni, dopo sei giorni dal rientro in Italia dal suo paese di origine, ha manifestato febbre superiore a 38 gradi, dolori muscolari, nausea e vomito. Poiché la paziente ha sintomi compatibili anche con l’esordio della malattia causata dal virus ebola ed è rientrata in Italia da meno di 21 giorni (periodo massimo di incubazione), il caso ha le caratteristiche per la attivazione del protocollo di allerta per la verifica di casi sospetti che la Regione Marche ha emanato recentemente a seguito delle direttive nazionali. L’ospedale Torrette di Ancona, dove la donna è stata trasferita in «apparenti buone condizioni», è ora in attesa dell’esito degli esami biologici, che sono stati inviati allo  Spallanzani di Roma. Il ministero della Salute rende noto che «sono state attivate tutte le procedure previste dalle circolari emanate da questo Ministero, in linea con le indicazioni internazionali». «I sistemi di controllo italiani sono comunque ottimi,  – aggiunge Stefano Vella dell’Iss – l’eventuale diagnosi è certa e questa potenziale malata non trasmetterà a nessuno il virus».
La testinonianza di Msf
Fanshen Lionetto ha 37 anni. Infettivologa a Brescia, è anche uno dei 156 opertatori internazionali che Medici senza frontiere ha impiegato  in Africa occidentale da marzo scorso per combattere Ebola. Msf gestisce 5 centri per l’Ebola Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone con una capacità totale di 480 letti e un migliaio di casi trattati. Fenshen è appena tornata dalla Sierra Leone (dopo due viaggi in Guinea), «missioni brevi», spiega Msf «perché lo stress, sia fisico che psicologico a cui sono sottoposti gli opertaori è altissimo».  La dottoressa ha lavorato nel distretto di Bo, in un reparto di maternità e pediatria: «La difficoltà più grande – spiega – è che i primi sintomi dell’ebola, come la febbre, si confondono facilmente con quelli più comuni nei bambini o anche nelle donne incinte. Poi c’è il problema delle quarantene, che rendono difficili gli accessi in ospedale, oltre alla diffidenza ancora diffusa tra la popolazione».  Quello che «noi operatori facciamo –  conclude l’infettivologa – è molto, ma non è sufficiente. Occorre investire di più per fermare un’epidemia che è molto più estesa».
(Serena Bournens)

10 Settembre 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo