6:03 am, 17 Luglio 14 calendario

caro Vincenzo Metro Story di Claudio Proietti

Di: Redazione Metronews
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Eccomi lì, seduto sulla panchina. Solo, in un tempo senza tempo. Era tutto fermo, ma vivo. Cercavo di tirare le somme, di fare bilanci. Di capirci qualcosa di questa mia vita scombinata. Fissavo le rotaie aspettandomi una risposta, una specie di segno che appagasse il mio desiderio di verità. Fu proprio un sogno da sveglio, un attardarmi all’uscio dell’incoscienza. Ora mi è chiaro. O così credo. Ma proprio da quelle rotaie fredde e, apparentemente, sorde arrivò il fischio della vita. Quella vera. Quella che quando ti parla fa sul serio, mica scherza. Il metrò arrivò in fretta come una freccia scoccata da chissà dove, da chissà chi. S’arrestò tra fumi, colori, musiche. Una visione familiare e nuova. Tutto era leggero. Accogliente. Nulla m’impauriva. Mi stupiva, semmai. «Claudio, ti pare bello? Mi chiami, mi fai arrivare fin qui e poi? Che fai sali o no?», mi fece una voce muovendosi tra il fumo, neanche fosse un treno a vapore. Mi alzai e mi avvicinai, lentamente. I vagoni erano vuoti. Invasi da colori e profumi. Alla guida c’era un uomo che mi sorrideva ma che non riuscivo a distinguere. L’avevo già visto da qualche parte. Ma dove? «Allora, Claudio. Che fai? Sali o non sali? Non posso mica aspettarti per sempre». Il mio cuore cominciò a fare quello che voleva. Batteva proprio all’impazzata. Però l’avevo riconosciuto. «Sei Vincenzo. Vincenzo Cerami». «In carne ed ossa, vorrei dirti. Ma sembrerebbe una battuta. Meglio evitare, anche se ho uno spiccato senso dell’umorismo» «Che ci fai qui?» «Hai una bella faccia tosta. Oggi che giorno è?» «Il 17 luglio. È vero. Un anno fa tu… Ma come mai sei tornato?» «T’ho sentito giocare con la mente. Eri irrequieto. Poi so che sei un mio affezionato lettore e…»«Sì, e t’ho voluto molto bene. Anche se ci siamo visti pochissime volte. Te ne ho voluto e te ne voglio per le storie che ci hai raccontato. Mi piacciono tanto. Le rileggo spesso, sai» «Grazie, ma come ti dicevo sono venuto perché t’ho sentito strano. Che c’è?» «Un po’ di cose. Non so nel tuo mondo come si sta ma in questo si fa una gran fatica. Secondo te è veramente possibile cambiare le cose? Renderlo un posto magnifico questo vecchio albergaccio?».
A quel punto non disse più nulla. Si accese un sigaro e mi guardò con un mezzo sorriso. «Ho capito, va». Scese dalla vettura e salì sul tetto. «Dai, salta su». La cosa stava prendendo una piega strana sul serio, però mi sembrava poco educato farlo aspettare ancora. Saltai su. Vicino a lui. «Bravo Claudio, ora ti porto in un posto meraviglioso e avrai le risposte che cerchi», mi fece afferrando delle redini che non avevo notato. «La risposta non me la puoi dare qui? Ora? Dove andiamo? E poi che ci fai con quelle redini? Mica è una diligenza. Dove sono i cavalli?». Non riuscii, quasi, a concludere la frase che davanti a me scalciarono e nitrirono mille e più cavalli colorati. Una cosa che a raccontarla nessuno ti crede. Infatti lo so che non mi credete! Ma io ve la racconto lo stesso. «Tieniti forte, giovanotto!» «Giovanotto? Mica tanto.  Il 14 agosto compio quarantuno anni!» «Io, alla tua età… » «Vabbè, lasciamo stare. Lo sapevo che…». Vincenzo alzò le briglie e i cavalli cominciarono a correre velocissimi. Erano saette. «Ma, Vincenzo… Perché non siamo rimasti nel metrò. Potevi guidarlo normalmente», feci con gli occhi semichiusi e la testa bassa. «Eh no, ti serviva una bella strigliata! Altroché!». Attraversammo strade, fiumi, paesaggi magnifici. Intorno a noi c’era di tutto: tigri, neve, borghesi piccoli piccoli, gente rinchiusa in un casotto, ragazzi stregati. Ci salutarono mostri, mortacci, personaggi con lo stecchino in bocca. Insomma, un mare di gente incredibile. Vincenzo alzò di nuovo le briglie e il metrò si fermò. I cavalli non erano stanchi. Per niente. Eppure di strada ne avevamo fatta. Spense il sigaro e mosse un po’ le mani. Quello sparì. Saltò giù come un atleta. Lo era stato, tra l’altro. «Claudio, allora?! Scendi!» «Ma… Vincenzo ho visto delle tigri prima, non è che…» «Scendi che ti faccio conoscere delle persone meravigliose». Che potevo fare? Indietro non sapevo come tornarci. Scesi. Lo seguii aspettandomi di tutto, ormai. Quello che vidi mi lasciò senza fiato. Un oceano di bambini. Migliaia, forse milioni. Un immenso parco riempito da ragazzini che giocavano. «Tranquillo, Claudio. Tra un po’ avrai le tue risposte» «Mi fido, ma…» «Ssst. Buono e ascolta!». Vincenzo si infilò in mezzo a loro e tutti si zittirono e lo guardarono sorridendo felici. «Allora, ragazzi. Come andiamo?» Lo so, vi sembrerà pazzesco ma tanto se non mi avete creduto prima perché dovreste credermi adesso: riuscivano a sentirlo tutti! Ma tutti tutti tutti. Tutti! «Cari miei, questo giovanotto si chiama Claudio…» «Giovanotto no. Ho quarantun…» «Vabbè il 14 agosto compie quarantuno anni!» «Auguriii!», dissero all’unisono. «Un po’ in anticipo, ma grazie», risposi timidamente. «Questo giovanotto è un po’ inquieto. E forse, nel mondo in cui vive, lo sono anche altre persone. Allora penso che voi possiate essergli d’aiuto». Francamente non capii bene dove volesse arrivare. Mi sorrideva, però. «Che consiglio sentite di dargli a questo giovanotto…» «Ancora?» «… E a tutti quelli come lui che vorrebbero farlo girare un po’ meglio quel mondo birichino?». Un bambino grassottello disse: «Io, ogni giorno, imparo qualcosa di nuovo. Qualsiasi cosa mi possa rendere migliore. All’inizio è stato difficile ma poi è diventata una bella abitudine». Vincenzo mi guardò e strizzò l’occhio. «Chi altro vuole dire qualcosa?». Si fece avanti una ragazza magra, magra, con un sorriso disarmante: «Leggo tutti i giorni, dai romanzi alle parole crociate. Tiene attiva la mia mente e aiuta la mia concentrazione. All’inizio è stato difficile ma poi è diventata una bella abitudine». «Bene, sono proprio soddisfatto. Avete fatto i disegni che vi avevo chiesto?». Inverosimile: una miriade di mani alzate! Ognuna sfoggiò il proprio disegno. C’erano case, orsi, deserti, mari, montagne. Ma la cosa bella è che un tetto poteva essere arancione e una zebra viola. Un albero, blu. «Vincenzo, sono bei disegni ma i colori non corrispondo alla realtà. Un elefante di colore verde, francamente, non l’ho mai visto», feci. «Per questo sei inquieto, loro lo vedono. Pensa che noia se tutti vedessimo le cose nella stessa maniera e con lo stesso colore. Dovresti prendere esempio da loro. All’inizio può essere difficile ma poi diventerà una bella abitudine, credimi!». Poi si voltò verso un ragazzino un po’ timido e lo prese in braccio. «Questo ragazzino si chiama come te, Claudio». Rimasi senza fiato. Quello lo conoscevo. «Sì, sei tu. Qualche anno fa». Lo guardò con dolcezza e gli chiese: «Claudio, di che colore è il cielo?» «Il cielo è rosa, caro Vincenzo».
Arrivederci a settembre, con nuove Metro Story! (claudioproietti8@gmail.com)
(di CLAUDIO PROIETTI)
(illustrazione di MARTINA ROSSI/SCUOLA ROMANA DEI FUMETTI)

17 Luglio 2014
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