Keanu Reeves Il mio samurai
Cinema. È il più tramandato racconto proveniente dall’antico Giappone e oggi è diventato un 3D che mixa fantasy, action, epica avventura e storia d’amore. È “47 Ronin”, in sala da giovedi, regia di Dirige Carl Rinsch. Keanu Reeves è nei panni di un combattente solitario in un brutale e bellissimo Giappone ottocentesco. Attraversando un paesaggio popolato da streghe seducenti con poteri da incubo, bestie mitiche e monaci demoniaci, deve unirsi ad Oishi, leader dei 47 Ronin leggendari samurai, in nome di una vendetta sul tiranno che ha ucciso il loro Maestro.
Quando è stato coinvolto nel progetto? Quasi due anni e mezzo prima dell’inizio delle riprese, quindi ho potuto collaborare all’intero conoscere questo mezzosangue orfano che non si fida di nessuno.
Cosa le appartiene di Kai? Il suo non sentirsi di nessun luogo. Come lui ho girato molto per il mondo, ho studiato da tante parti e sono un mezzosangue. Ma credo che la storia di Kai possa essere familiare non solo per me ma per molti. Lui lotta per essere integrato e accettato e la sua è una storia d’immigrazione come quella di tanti: si basa sul desiderio di essere accettati e di accettare senza tradire la propria individualità.
Come si è rapportato a quel mondo così lontano? Ne ero affascinato e mi ci sono rapportato come occidentale. Dei tanti temi dell’epica orientale è stato scelto quello dell’onore come cuore del film che però parla di tutto e per me è una specie di western orientale, con molta parte introspettiva, dedicata all’intimità del protagonista.
Quindi si va oltre la storia di vendetta? La vendetta attraversa tutti il film ma i protagonisti cercano anche qualcosa da poter ottenere per le generazioni future e questo fa la differenza. Va oltre ogni idea di vendetta e diventa storia universale.
(Silvia Di Paola)
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