Maurizio Zuccari
11:10 am, 18 Luglio 16 calendario

Liberoscambisti ai ferri corti

Di: Redazione Metronews
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È il 14° round, e non sarà l’ultimo. Sono a un punto morto i negoziati appena ripartiti a Bruxelles, eppure l’imperativo è fare presto. Nella corsa a chiudere il trattato di libero scambio tra Usa e Europa le parti stentano a tenere il passo, con i corridori europei sempre più infiacchiti da una gara che ai più appare a perdere. Del Ttip – acronimo di Transatlantic trade and investment partnership, trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico – si parla da un ventennio, per rendere meno impastoiati investimenti e commerci fra le due sponde, e farne un mercato unico. Dal 2013 l’idea è stata ripresa per rilanciare un’economia occidentale in crisi strutturale, e alzare barriere contro la ruggente economia Cindiana, cinese e indiana, coi i similari accordi Tpp e Tisa.
Obiettivi che i centri studi delle multinazionali, grandi sponsor dell’accordo, danno per raggiunti entro un decennio, con un guadagno per le economie Usa-Ue di circa mezzo punto del pil. In soldoni, oltre duecento miliardi di dollari e 15mila posti di lavoro. Ma occorre fare presto, altrimenti i benefici frutti della globalizzazione transatlantica marciscono sulla pianta delle buone intenzioni. Per questo tutti si preparano al rush finale d’autunno, prima che Obama e Hollande, ma anche Renzi, tra i fautori del trattato, siano fuori gioco e il rischio che salti tutto diventi certezza. Sul tappeto, al di là di ogni dubbio su quanto l’iperliberalizzazione selvaggia sia davvero utile a ridare fiato all’economia che ha contribuito a straziare, e speranze ai cittadini del vecchio e nuovo mondo sempre più vogliosi di muri e tutele, c’è qualche problemuccio.
Tipo la faccenda delle verdure geneticamente modificate e dei bistecconi estrogenati, che i nordamericani vorrebbero importare tout court in cambio di qualche tutela in più a cacio e vino, prodotti dop graziosamente taroccati sul mercato Usa. O il fatto che le aziende europee negli States dovranno avvalersi di materie locali, in omaggio al “buy american first”, non inventato certo da Trump. Poi c’è la storia dell’Isds, che non è una filiazione dell’Isis ma può essere peggio. Cioè il tribunale internazionale che dovrebbe dirimere le controversie, col potere di mettere sotto scacco gli stati inadempienti. C’è n’è abbastanza perché il no al Ttip faccia ogni giorno più proseliti sulle piazze e online (stop-ttip-italia.net il sito italiano), dove gli antiscambisti annaffiano gli ardori liberoscambisti con dosi massicce di buone ragioni. Se son ogm, (non) fioriranno.
 
MAURIZIO ZUCCARI
giornalista e scrittore

18 Luglio 2016
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