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4:44 pm, 13 Settembre 15 calendario

Il Miur e i numeri che non tornano

Di: Redazione Metronews
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Dicembre 2014, il primo ministro Matteo Renzi, a seguito della sentenza della Corte europea sull’abuso di precariato nella scuola italiana, ovvero l’abitudine ad assumere docenti italiani con contratti fino al 30 giugno o al 31 agosto, licenziarli e riassumerli dal giorno 1 settembre successivo, annuncia il piano di riforma della scuola. Questo piano viene battezzato Buona Scuola. Su Twitter e in conferenza stampa esponenti del governo e del Partito Democratico si scatenano. Fra le varie voci, il piano prevede investimenti sull’edilizia scolastica e 148.000 assunzioni in ruolo. Verba volant, scripta manent: fra i tanti, basti ricordare il tweet della senatrice. Puglisi che assicurava 148.000 assunzioni.
9 Luglio 2015, dopo l’approvazione alla Camera della legge 107/2015, esponenti del governo, la ministra Giannini, il sottosegretario Faraone e il primo ministro Renzi ripetono in ogni salotto televisivo i numeri della loro riforma: 36.627 assunzioni per la prima fase del piano di assunzioni, detta fase 0 – fase che in realtà non appartiene al piano straordinario, dato che va a coprire, come ogni anno, i posti del turn over dei pensionamenti, assieme alle cattedre previste dalla legge carrozza, precedente governo, sul sostegno – ; 10.849 per la cosiddetta fase A, con cui parte il piano straordinario di assunzioni, su posti ulteriormente disponibili e da assegnare. Dalla somma di queste prime due fasi, il governo assicura un totale di 47.476 assunzioni a tempo indeterminato. Il governo immagina inoltre anche una fase B: in questa saranno assegnati, ai primi di settembre, i posti rimasti vacanti dalle prime due fasi; tuttavia queste cattedre non saranno assegnate secondo i vecchi criteri, 50 % da gae, le graduatorie provinciali, e 50 % da concorso, ex art. 399 del testo unico, ma secondo una graduatoria nazionale opportunamente stilata, quindi ipotizzando la mobilità regionale e nazionale dei docenti. Insomma, un piano che dovrebbe raggiungere il numero di 47.500 neoassunti in ruolo nelle prime tre fasi. In attesa poi della fase C, da novembre (forse): altri 55.258 posti, da assegnare per il potenziamento delle scuole dopo che queste avranno deliberato le loro necessità, anche in questo caso sulla base della graduatoria nazionale. Un totale di 102.734 assunzioni debitamente finanziate: a guardar bene sono già sparite 45.000 cattedre rispetto ai proclami iniziali. Va detto poi per l’ennesima volta che più correttamente dovremmo parlare di stabilizzazioni: il comparto scuola era infatti composto da 628.000 dipendenti nel 2014, che diventeranno 629.000 nel 2015. Si tratta quindi, a partire dal turn over dei pensionamenti, di docenti che già lavorano all’interno della scuola.
Agosto 2015, iniziano le stabilizzazioni dei precari: dapprima le fasi 0 e A e poi, tra le polemiche, la fase B. Entro il 14 agosto i docenti devono compilare il modulo con cui danno la loro disponibilità al piano di assunzioni per le fasi B e C, quelle basate sulla graduatoria nazionale. Alla scadenza fissata a presentare la domanda sono 71.000 docenti, ma di queste domande 3.000 non sono valide perché presentate da docenti già entrati in ruolo e 15.000 riguardano docenti della scuola dell’infanzia, per cui non sono previsti posti in fase C, quella di potenziamento (fonte gessettirotti.it). Sono quindi valide solo 53.000 domande, meno dei posti offerti. Nel frattempo il sottosegretario Faraone parla di 160.000 assunzioni alla fine dell’iter della riforma, concorso del 2016 compreso, e il ministro Giannini rilancia parlando di successo.
2 settembre 2015, è passata l’estate. Il ministro Giannini tiene la sua conferenza stampa. Scopriamo che per le fasi 0 e A sono state assegnate 29.000 cattedre, ben 7.500 cattedre in meno delle sole previsioni per la fase 0. Altre 8.500 sono state assegnate nella fase B (fonte MIUR); tutte le cattedre di questa fase, come detto, prevedono la mobilità dei docenti, almeno di quelli che non abbiano già ricevuto una supplenza, per i quali il problema è rinviato di un anno. La ministra Giannini ha sminuito il dato parlando di 2.000 cattedre che comunque vengono distribuite nella stessa regione di residenza del candidato, tuttavia sempre di mobilità si tratta, quindi 8.500 docenti su 38.000 neoassunti saranno costretti a trasferirsi. Due dati su tutti: ¼, e non 1/10 dei docenti immessi in ruolo, al contrario di quanto detto dalla ministra, sarà costretto alla mobilità; i posti assegnati, infine, coincideranno di fatto con i semplici pensionamenti, insomma un piano di assunzioni che coincide con il solo turn over, che si è già perso per strada 9.000 assunzioni e che poteva, almeno per quanto fatto fino a settembre, essere realizzato con i normali mezzi che la legge consentiva, senza bisogno di piani straordinari. Ora, alla conclusione della fase C il ministro prevede 93.000 assunzioni anziché 102.000.
Riguardo alla mobilità, la ministra l’ha definita limitata e fisiologica: il paragone è fatto con i 7.700 trasferimenti dell’aggiornamento delle graduatorie avvenuto nel 2014. Ciò che la ministra omette di dire è che l’aggiornamento avviene ogni 3 anni, quindi quel dato andrebbe spalmato su più annualità; inoltre, considerando i 7.700 trasferiti l’anno scorso, i 8.500 in mobilità quest’anno con la fase B e qualche altro migliaio che plausibilmente dovrà spostarsi con la fase C, otteniamo dati proporzionalmente comparabili solo a quelli della scuola d’epoca monarchica.
Il ministro ha poi parlato di un neoimmesso in ruolo su due sotto i quarant’anni: anche questo dato è parziale – si potrebbe anche dire che più di uno su due ha più di quarant’anni -, giacché, fonte MIUR, il 48% delle domande sono state presentate da candidati fino ai 40 anni, tenuto conto che i candidati non potevano avere meno di 31 anni, mentre il 38% delle domande si assestano tra i 40 e i 50 anni e il 12% oltre i 50. Insomma, gli immessi in ruolo sono più vicini ai 40, o a superarli, che ai 30 anni.
La fase B si caratterizza inoltre per la mancanza di trasparenza: i docenti hanno presentato domanda di assunzione senza aver avuto accesso né al numero effettivo di cattedre disponibili per classe di concorso, men che meno alla loro suddivisione sul territorio italiano, dati pubblicati solo dopo la scadenza per la presentazione della domanda. La proposta di nomina, poi, è avvenuta con metodologie inedite: una mail mandata allo scoccare della mezzanotte tra giorno 1 e 2 settembre, con disservizi prevedibili che hanno portato i più fortunati a conoscere l’esito delle operazioni non prima delle 00.40; in altri casi i dati non sono stati accessibili prima delle ore 01.30 del mattino. Ancor di più colpisce il rischio arbitrarietà delle nomine: la graduatoria nazionale e l’algoritmo che hanno permesso l’accoppiamento tra nominati e sede di servizio non sono stati resi pubblici, sicché nessuno, ad eccezione del MIUR, sa per quale motivo un certo candidato è stato assegnato ad una certa sede.
In queste falle il MIUR prosegue nella sua tradizione di scarsa trasparenza nella suddivisione dei posti in ruolo. Già all’epoca del ministro Gelmini il ministero non seppe spiegare in tribunale il perché di assegnazioni più numerose di posti in ruolo  a Brescia rispetto a Catania, nonostante una popolazione scolastica nettamente inferiore, tanto da venire condannato con sentenza n. 4286 del 14 luglio 2011 del Consiglio di Stato, mancando, secondo il CdS, i criteri di distribuzione tra le diverse aree d’Italia dei posti messi a disposizione per le assunzioni. E da allora nulla è cambiato, tanto che numerose sono state le proteste della Lega Nord, che accusa il ministro Giannini di aver favorito le regioni “rosse” nella distribuzione delle cattedre. In una situazione simile, scarsa è la credibilità degli esponenti del governo quando giustificano la mobilità forzata dei docenti, adducendo i pochi posti a sud, posti che è lo stesso governo a decidere di distribuire.
 
Certo, al piano di assunzioni manca ancora la fase C, ma come già detto, le domande presentate dai docenti non basteranno a coprire, sempre che si voglia farlo con criterio, l’offerta di posti. 55.000 posti a fronte di 44.000 domande ancora valide, sottraendo gli 8.500 già nominati in fase B. Inoltre, bisogna considerare come una grande fetta dei docenti che hanno presentato domanda si trovino in quelle classi di concorso che difficilmente verranno richieste per il potenziamento delle scuole, se non in istituti specifici: si tratta di docenti di diritto, di musica, di storia dell’arte, almeno 10.000 professori. Realisticamente si può pensare che soltanto 35/40.000 docenti che hanno presentato domanda potranno essere assunti in fase C. Senza contare il rischio ricorsi:  si pensi per esempio a come la legge 107/2015 preveda l’istituzione di una graduatoria nazionale, mentre, dalle parole degli esponenti del governo, si evince come per la suddetta fase l’algoritmo che accoppierà candidati e posti lavorerà in maniera diversa, dando preminenza alla città di prima scelta e, solo in un secondo momento, scorrendo la graduatoria nazionale. Questo sistema di fatto ricrea un monstrum già visto nella legislazione scolastica e dichiarato incostituzionale, le cosiddette code, per cui il MIUR già nel 2011 venne condannato finanche per lite temeraria e commissariato, tanto da pagare migliaia di euro di risarcimento ai docenti che presentarono ricorso e doverli assumere in ruolo retroattivamente.
Insomma, il piano di assunzioni, ingenerato dalla sentenza della Corte europea, forse riuscirà a coprire 75.000 cattedre, turn over compreso, a fronte di 126.000 docenti precari solo nelle graduatorie ad esaurimento (150.000 secondo altre stime) per i quali, sin dall’inizio, i proclami del governo erano stati ben diversi; circa 30.000 cattedre previste dal piano non potranno essere coperte se non pensando di dirottarle su un concorso per cui non esiste ancora alcun bando, previsto per dicembre, con altre migliaia di cattedre che già ci si attendeva andassero comunque a supplenza. Senza contare che la legge prevede la distribuzione al 50% delle cattedre tra concorso e graduatorie, ragion per cui, se il governo intende mettere a concorso 80.000 posti, altrettanti deve metterne a disposizione per le GAE – e sappiamo già che difficilmente avrà i fondi per farlo – .
 SEBASTIANO CUFFARI

13 Settembre 2015
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