Giampaolo Cerri
3:02 pm, 10 Giugno 15 calendario

Rivoluzione digitale Positiva e rischiosa

Di: Redazione Metronews
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Una ricerca dell’Università di Oxford contiene una previsione che lascia senza fiato: di qui a 20 anni, che è come dire domani, il 47% dei posti di lavoro sarà “ad alto rischio”, per via della crescente automazione. La rivoluzione digitale, con i suoi enormi vantaggi e suoi grandi benefici, si porta dietro questo corollario: c’è sempre meno bisogno di lavoratori in carne ed ossa.
Con poco più di 90mila addetti, quanti ne contiene un grande stadio, la Apple, farà quest’anno 88 miliardi di euro di profitti. Per intenderci, nel 2014, Fiat Chrysler ha registrato 96 miliardi, ma di ricavi, e occupa 306mila persone nel mondo.
Non c’è bisogno di essere ricercatori oxfordiani per capire il drammatico paradosso: tutto quello che ci esalta, dall’orologio che diventa smartphone, alla domotica in casa, ha sempre e inevitabilmente meno bisogno di noi. Necessari come consumatori, inutili come produttori.
Il sociologo Domenico De Masi lo va scrivendo da tempo e in questi giorni un (bel) libro dell’americano Nicholas Carr, La gabbia invisibile (Cortina), segnala un rischio ulteriore: che gli algoritmi che governano il mondo, da quelli che guidano il pilota automatico di una aereo a quelli che stanno dentro il software delle grandi banche, potrebbero, che quegli algoritmi, dicevamo, ci rivoltino contro.
E allora? Aveva ragione l’operaio tessile Ned Ludd che, nell’Inghilterra di fine ‘700, agli albori della Rivoluzione industriale, guidava i colleghi a spaccare i telai meccanci perché, diceva, gli avrebbero tolto il lavoro? O hanno ragione quelli, da Serge Latouche ai nostri grillini, che teorizzano la “decrescita felice”?
Forse no. Forse, come sperano gli ottimisti, la stessa corsa della tecnologia, fornirà nuove opportunità, anche se, oggi, il saldo fra occupati dei nuovi mestieri e disoccupati dei vecchi è terribilmente negativo.
Questi dati però obbligano tutti a temperare l’entusiasmo che ogni innovazione suscita, nell’osservazione riflessiva di ciò che toglie: quella, quelle venute prima, e quelle che verranno poi.
E forse a pensare, con categorie meno novecentesche, a come la ricchezza generata da pochi e per pochissimi, possa essere redistribuita a molti.
GIAMPAOLO CERRI, giornalista
 
 
 

10 Giugno 2015
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