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8:36 pm, 11 Febbraio 15 calendario

L’ultimo fucilato nella Milano del dopoguerra

Di: Redazione Metronews
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MILANO L’ultimo fucilato di Milano, il 7 febbraio 1946, era un fascista della prima ora, repubblichino, noto aguzzino e torturatore, ma forse non peggio di tanti altri che invece nel bailamme della fine del regime e nelle maglie dell’amnistia di Togliatti la fecero franca. A cominciare dal suo principale accusatore, un ‘ex commilitone che dopo il 25 aprile si riciclò con abile mossa tra i partigiani. Giovanni Folchi, capitano dell’aviazione, ebbe un regolare processo, per quanto rapido, un giorno, di cui restano tracce negli archivi e che ci viene restituito come un legal thriller da un cronista giudiziario di razza come Luca Fazzo (L’ultimo fucilato, Mursia, 15 euro) che con penna felice ci fa sedere quel 22 agosto 1945 nell’aula della Corte d’Assise straordinaria.  Questo repubblichino convinto e un po’ ingenuo (si consegna praticamente da solo)  va incontro al suo destino mentre si alternano accusatori e vittime. Tra queste Enzo Galletti, allora partigiano 17enne, l’unico ancora in vita (è morto durante la stesura del libro) che a Fazzo racconta senza infingimenti che se avesse incontrato Folchi per strada gli avrebbe sparato in faccia, come capitò a tanti altri nel clima di giustizia sommaria e di resa dei conti seguito alla Liberazione. Folchi viene giustiziato per collaborazionismo, gli sparano alle spalle 14 ex partigiani. Ha 29 anni. Sarà l’ultima sentenza capitale a Milano dopo quella di  Guido Buffarini Guidi, ex ministro Rsi, personaggio di altra caratura (nella foto).
Fazzo, Folchi è una vittima?
Non è un personaggio che induca simpatia, è il classico zelante esecutore, ma in quel momento confuso dove il sistema penale era traballante, ha pagato un prezzo più alto di altri.
Come si è imbattuto in questa storia?
Da cronista giudiziario il tema della pena mi ha sempre appassionato. Mi sono chiesto chi fosse l’ultimo giustiziato di Milano e da lì è partito tutto. Mi interessava anche l’aspetto materiale dell’esecuzione. Non per morbosità, ma perchè l’esecuzione capitale non è un processo impersonale. Quando oggi qualcuno invoca il ritorno della pena di morte è bene capire cosa significa: come lo Stato prende un uomo e lo ammazza a sangue freddo, come sceglie i carnefici. Mi è piaciuto scoprire che allora il pm fosse obbligato ad assistere all’esecuzione.
Ma non nel caso di Folchi.
Già, il pm mandò un sostituto.
PAOLA RIZZI
@paolarizzimanca

11 Febbraio 2015
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